HOW TO SAVE FASHION by Francesco Tombolini
Questo mese non stiamo assolutamente bene. Ma le priorità del paese sono altre.
Tremiamo e preghiamo per i nostri concittadini, amici, colleghi e dipendenti e ci auguriamo che questa tragedia finisca presto.
Ci stiamo attrezzando, sarà una lunga primavera e speriamo di uscire indenni dall’estate.
Dopo un gennaio più che soddisfacente ora abbiamo un febbraio marzo veramente difficile. È il peggior marzo da circa 20 anni. E marzo per noi era già un mese di grande margine.
Stiamo vendendo, per il 70% dei nostri che sono attrezzati, SOLO tramite le vendite online, che però ricordo che sono circa il 23% delle nostre vendite. Facendo un po’ di matematica, avremo due mesi al 16% del potenziale.
Un calo degli incassi minimo in un anno, di 390 milioni che equivale ad un incremento dei leftover a 180 milioni.
La moda è un business ad alto margine iniziale perchè ha una metrica stagionale. Se salta una stagione perdi il margine per due e non riesci a pagare l’altra. La filiera è una bella cosa, ma o la si guarda tutta o non la si guarda.
Molto dura e snervante. I nostri dipendenti sono a casa, le misure di sicurezza sono complicate. Tutti i nostri titolari e soci, sono sulla plancia di comando.
Nessuno ha lasciato la città. Pur con negozi chiusi le famiglie si recano a lavoro.
Gestiamo la contabilità, sbrighiamo le pratiche online e cerchiamo di vedere bene le proiezioni di vendita. Di certo non possiamo vivere alla giornata a lungo.
Abbiamo la testa su tutti i costi aziendali che sono vivi e stiamo cercando possibili soluzioni.
Comprendiamo bene le difficoltà di chi ci governa, siamo vicini a tutti e tremiamo per la salute dei cittadini, dei clienti, dei dipendenti…
Ma il decreto che è uscito ci ha lasciato molto frastornati, abbandonati. Vengono aiutati i ristoranti, i musei ed i teatri, ma il retail di abbigliamento non viene considerato. Noi siamo molto colpiti. La moda è una cosa seria.
Non è una cosa frivola, da noi ci sono 4000 addetti…Che cosa possiamo fare?
Premesso che ringraziamo ancora tutti per quello che stanno facendo, ma vorrei ricordare che questa parte del sistema sta per entrare in una grave sofferenza.
Noi non siamo stati interpellati ne da Camera Nazionale della Moda Italiana ne da altre organizzazioni. Li capisco hanno altre cose a cui pensare, ma è un peccato pensare che noi non possiamo dare un contributo.
Il retail indiretto è un business che in Italia vale circa 36 miliardi di euro l’anno. L’Italia è il mercato più grande per la moda italiana. E noi saremo chiusi 2 mesi.
Tanto per darle una idea.
Senta, anche se il sistema si riprendesse il primo maggio, noi crediamo che la stagione PE 20 è comunque pregiudicata e che senza turisti e senza abbrivio economico anche l’AI non riesca fare bene.
La previsione più ottimistica in mio possesso è di chiudere ad un – 26% nel 2020. Con la Riapertura al 15 aprile. Se perdiamo un altro mese, arriviamo a forse un – 34%.
In pratica sconti dell’online e decadimento valore merce, ci erodono i margini.
Si ma ci sono mille incognite, tra cui anche la situazione degli sconti.
In questa statistica, preciso, non teniamo conto dell’impatto di un eventuale ulteriore lockdown.
Ma la paura più’ grande è per le prossime misure.
Anzitutto abbiamo bisogno di una “quarantena commerciale” di 60 giorni per rallentare, se non congelare, i pagamenti di marzo e aprile.
Consolidare bene le proiezioni di cassa, e poi fare due piani con i nostri fornitori.
Il primo per fare dei pagamenti a lungo termine per la stagione PE 20. Perché sia ben chiaro, qui i 60 giorni non basteranno.
Anzi io ritengo ci serva una transazione economica forfettaria dei valori, vale a dire uno sconto ex tunc del 25% su tutte le giacenze al 25 febbraio. Poi un piano di pagamento di almeno 150 giorni della PE.
Il secondo per definire un piano strategico con i brands per la parte AI:
Poi affrontiamo i costi correnti
Affitti da rinegoziare e personale a casa da riorganizzare.
Probabilmente anche negozi da chiudere.
Dobbiamo essere freddi e realistici.
Il mondo è cambiato e le condizioni sono cambiate, dobbiamo ragionare con i brands.
Ripeto con i brands, ci serve una Yalta.
Un tavolo dove ci incontriamo con brand e showroom. Da soli non si può più fare nulla. Il futuro non avrà una base sulle regole del passato.
Stiamo rivolgendo le nostre idee a tutte le donne e tutti gli uomini di buona volontà e buon senso. Siamo retailers e sappiamo benissimo come stanno le grandi catene, i grandi brands e come stanno i piccoli marchi.
Ma in questo momento per noi è impossibile dare certezze e/o rispettare alla lettera tutti gli accordi. I negozi sono chiusi.
Questa improvvisa mutazione dello scenario e del contesto, ci obbliga a soluzioni innovative e collaborative. E siamo convinti che molti partners saranno dalla nostra parte.
Nuove soluzioni, mai viste. E quindi chiediamo ai marchi di esserci vicini e aiutarci nell’incertezza. Senza una certezza di incasso è impossibile pianificare.
Dobbiamo pensare all’occupazione e alla importanza che rivestiamo nel tessuto urbano.
Lo sa che ben il 39% dei nostri negozi sono in zona rossa Lombardia/Veneto/Emilia?
La risposta di persone che sono consapevoli… la risposta di chi vuole aiutare. Tantissimi marchi soprattutto quelli italiani.
C’è voglia di ascolto, c’è voglia di collaborazione. Questo è stato un terremoto. Dobbiamo prima aspettare di fare i conti e poi ragionare.
Segnalo che sono sorpreso che mentre tutti i grandi e piccoli marchi italiani e tutti i grandi imprenditori (Prada, Gucci, Herno, Armani, Cucinelli, etc) italiani ci stanno mostrando comunque ascolto,
alcune grandi multinazionali estere forse per paura della borsa e per la superficialità internazionale nel non vedere i problemi ci hanno fatto molte storie. Non ci dimenticheremo di loro.
Al contrario show room e piccoli designer, vorremo trovare una maniera per aiutarli.
Alcuni presunti “big” sono rimasti a metodi borbonici. C’è chi impone pagamenti cash per merci non vendibili, c’è chi chiede anticipi per la produzione di nuova merce, c’è chi ci fa vedere le clausole contrattuali.
Vede, in breve, che forse è molto più dannoso chi fa finta di niente, che non colui che previdentemente segnala il problema. Strangolare un commerciante è come tagliare i fiori. La primavera tornerà sempre.
C’è molta gente impreparata alla normalità, figuriamoci alla straordinarietà.
Sono rimasto a milano nel mio posto. Vedo la compostezza di questa città che mi ha ospitato e fatto figlio da 38 anni.
Noto che questa è stata una grande pagina della storia, dove niente sarà più come prima e dove o ci si evolve o si scompare. Vedo una popolazione smarrita, che sta cercando di comprendere bene il prossimo futuro.
Vedo imprenditori della Moda, colossi, con le lacrime agli occhi. Hanno tutti la mia stima. Vedo i miei associati concentrati sulla giornata, pieni come tutti noi di preoccupazioni.
Se il ministro parla di economia di guerra, figuriamoci lo scenario. Serve sobrietà e tempismo emotivo.
La moda è creatività, è show business, ma se si fermano NBA, f1 e Calcio, forse per qualche mese dobbiamo fermarci anche noi. Magari per poco.
Ascolti, serve chi vuole aiutare il sistema. Penso ad una leadership olistica e penso ad un padre nobile da un lato che possa dare uno slogan, del tipo salviamo la moda.
Allo stesso momento penso ci serva una banca un’ente, che possa aiutarci a ristrutturare il debito di queste due stagioni con i brands. Si potrebbe emettere un “bond” per permettere di rateizzare in 12 uscite i valori in sofferenza.
Se possiamo avere le risorse per non tremare possiamo andare avanti tutti.
Quindi si, serve una leadership meno festaiola, più pragmatica, per fare anche fronte alla possibile estinzione del Wholesale. Sento tantissime voci negative.
Sento che tutti dicono che l’Wholesale è un problema. Ricordiamoci che il piccolo curerà il grande.
Non necessariamente. Ma credo che fare le sfilate e le fiere, mentre abbiamo ospedali da campo in casa, è molto inutile e anche offensivo. Pensiamo non a tre mesi. Pensiamo a tre anni.
Facciamo tesoro di questo momento, rafforziamo il vecchio sistema e costruiamone uno più solido. Serve un cambio generazionale, culturale in questo momento. Ci serve un pensiero più aperto moderno e
soprattutto fatto di legami professionali e non, più forti, più profondi. Meno eventificazione, meno omologazione, più’ qualità nelle discussioni.
La moda non può essere valutata da un like. La moda è un fenomeno culturale e sociale soprattutto per noi italiani.
Sarebbe molto opportuno considerare una tempificazione, più dolce. Magari riaprire il sistema show e fiere showroom tutto a metà settembre, lasciando anche alle aziende il tempo di far tornare le persone
e alle istituzioni di ragionare su nuove procedure di sicurezza. Dopo tutto di merce fino a gennaio tra AI20 e PE 20 ne abbiamo in abbondanza.
Ascolti io non sono nessuno, posso dire che Giorgio Armani (che è stato mio mentore per molti anni), coraggiosamente è stato il primo a comprendere questa situazione durante le settimane della moda.
Ha avuto il coraggio di mettere la salute prima del denaro. Questa è la leadership che ci serve. Concretezza.
Il sistema dovrebbe reagire molto semplicemente: stati generali della moda, brand, retailer, showroom, marketing uniti e un team che cerca di capire cosa è il bene del paese e del settore.
Non del singolo. Il sistema lo abbiamo costruito noi con i nostri insegnanti e siamo chiamati a salvarlo noi. Non una società di consulenza di Londra.
Il commerciante è l’ape operaia del sistema, dobbiamo lavorare noi per primi tutti insieme e poi dobbiamo lottare per difendere questa categoria, i nostri dipendenti ed i nostri investimenti. Aspettiamo l’aiuto delle istituzioni.
Marco Aurelio dice, “ciò che non giova allo sciame non giova neanche all’ape”. Dobbiamo essere uniti.
Nella difficoltà, è li che si vede la qualità delle persone.
Stiamo ricevendo moltissime adesioni da Belgio, Germani, Francia… Anche loro stanno entrando in emergenza.
Se siamo uniti, pratici e siamo aiutati, potremo resistere. Abbiamo dei grandi professionisti tra di noi e siamo, ripeto, gli unici.
Vero omnicanale in attività. Noi siamo gli unici, che spediscono dallo stesso luogo contemporaneamte in tanti paesi, ma allo stesso momento sappiamo interfacciarci con il consumatore locale fisicamente.
Essere omnicanale significa essere snelli e aver fatto investimenti in persone e tecnologia. Tutto questo ha un valore soprattutto per il futuro.
Se i marchi sostenendo noi e gli showroom, (in particolar modo quelli di milano che tanto stanno soffrendo) avranno voglia di fare sistema allora resisteremo.
Se la CNMI ci considererà definitivamente parte di questo sistema allora resisteremo e se tutti siamo azionisti di un nuovo metodo potremo andare avanti. Ognuno sacrificando la sua parte.
Ma se inizierà di nuovo il teatrino delle fratture allora si, avremo delle perdite.
Ma con quelle dei commercianti, si innescheranno anche quelle dei brands.
A volte l’autolesionismo è più forte dell’associazionismo.
Dopo quello che stiamo vivendo, vedere gente che non vuole collaborare per fare sistema sarebbe deprimente. Dovremo prendere come esempio quella collaborazione che vediamo a Milano.
Non abbraccio mia figlia da un mese, sogno di stringerla tra le mie braccia ma non so quando potrò farlo.
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